Anche questa volta, la Corte di Cassazione Civile, Sez. lavoro, 1° agosto 2017, n. 19089, ha riconfermato il principio per cui è punibile con il licenziamento il lavoratore “malato” che lavora durante il periodo di malattia, rafforzando la possibilità, per il datore di lavoro, di eseguire accertamenti di circostanze di fatto, atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o e, in particolare, ad accertamenti atti a comprovare l‘eventuale svolgimento da parte del lavoratore di un’altra attività lavorativa.

Svolgere attività di controllo nei casi di motivato sospetto attraverso l’uso di investigatori privati di fatto non comporterebbe alcun illecito poi che il datore di lavoro si limiterebbe ad intraprendere controlli su comportamenti illeciti, non sulla salute del dipendente; quest’ultimi eseguiti esclusivamente solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, che non precludono quindi al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto, volti a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, e quindi a giustificare l’assenza e, in particolare, ad accertamenti circa lo svolgimento da parte del proprio dipendente di un’altra attività lavorativa.

In futuro – ritengo che in Italia sia difficile ipotizzare dei “controlli fiscali privati”, però nulla vieta attualmente, di verificare eventuali condotte non corrette del lavoratore attraverso investigazioni private.
Famoso è il caso di quel dipende di una azienda municipalizzata che mentre era in malattia, si esibiva in festival musicali e pubblicava le sue performance sui social network.

Molte persone, compresi alcuni addetti ai lavori, sono convinti del fatto che qualora il lavoratore – al termine del periodo di malattia – tornasse al lavoro, senza alcun prolungamento, la sua condotta non sarebbe sanzionabile…errore! Il parere di molti avvocati del lavoro è quello che la condotta scorretta è sanzionabile anche se il lavoratore dipendente riprendesse il servizio al termine dell’originario periodo di malattia.
Mi spiego meglio: se il lavoratore malato, anche solo per pochi giorni, durante tale periodo, svolgesse la mansione di “cameriere” in un ristorante, questo rischierebbe una sanzione disciplinare, fino ad arrivare al licenziamento. Di fatti il rientro in servizio del lavoratore, dopo il periodo di malattia non giustifica l’illiceità della sua condotta, se in tale periodo egli ha svolto altra attività.

Quali sono i rischi legati alle indagini sui dipendenti?

Nella pur remota possibilità che il lavoratore dimostri che la seconda attività lavorativa non ha alcun legame con la prognosi stabilita dal medico (che il datore non conosce) a giustificazione della sua assenza e che quindi, nemmeno ostacola la guarigione il rischio dell’azienda è limitato a quello economico: ad esempio le spese che ha affrontato per affidarsi ad una agenzia investigativa o un investigatore privato, difficilmente potranno essere risarcite dal lavoratore. Mi spiego meglio: Se l’attività posta in essere durante la malattia è compatibile con lo stato di malattia dichiarato all’azienda e certificato dal medico (con prognosi ignota all’azienda per ovvi motivi), qualsiasi provvedimento disciplinare rimarrebbe illegittimo.

La prudenza non è mai troppa. Soprattutto nel nostro mondo dove l’incertezza regna sovrana e siamo esposti alle valutazioni soggettive di un Giudice.
Il presupposto per il licenziamento è, quello correttamente individuato dalla Cassazione, ovvero il pregiudizio che l’attività ulteriore del lavoratore reca alla sua guarigione e pertanto, a mio giudizio, il datore di lavoro, venuto a conoscenza della condotta scorretta del lavoratore, potrebbe avviare un procedimento disciplinare, chiedendo al dipendente le giustificazioni nei canonici 5 giorni, ed in caso applicare la sanzione disciplinare opportuna, fino ad arrivare al licenziamento.
Il licenziamento è-e rimane una sanzione disciplinare che deve rispettare i criteri di legge e rimane soggetta all’eventuale vaglio del Giudice.

Ribadisco che in ogni caso la cassazione si è oramai pronunciata in più occasioni sui controlli effettuati nei periodi di malattia. Il presupposto deve essere il sospetto della sussistenza di un comportamento non lecito, ovvero, se l’attività posta in essere non è compatibile con lo stato di malattia dichiarato all’azienda, oppure se l’attività pratica fa presupporre che stante uno stato di malattia la prestazione lavorativa poteva essere effettuata anche parzialmente o se il comportamento tenuto ha impedito le tempistiche di guarigione ritardando quindi il rientro al lavoro. Ciò premesso i controlli sono indipendenti dalla verifica dello stato di malattia dal punto di vista medico (che spetta solo all’ente preposto attraverso la visita fiscale). Gli stessi vanno effettuati attraverso professionisti seri ed affidabili, iscritti presso le diverse procure di interesse e che applichino correttamente i limiti che la legge concede.

Se vuoi hai necessità di ricevere una consulenza investigativa puoi contattarmi ai numeri sovraimpressione, riceverai risposte valide, un preventivo e qualche consiglio utile.

 

Giuseppe Tiralongo

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